Quel che manca all’e-commerce per sfondare

E-commerce - Foto di © kanate - Fotolia

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Notizie contrastanti arrivano dal fronte e-commerce. Da un lato il commercio elettronico sembra essere in Italia uno dei pochi segmenti dell’economia a generare percentuali positive, con un incremento che di anno in anno si fa sempre più consistente nei più svariati settori merceologici, dai libri alle scarpe, dalle auto usate sui diversi portali a beni più immateriali come software o biglietti per concerti. Nel 2012 la crescita è stata pari al 12%, un miracolo in tempi di crisi.

L’altra faccia della medaglia ci racconta però che l’e-commerce nel Bel Paese ha ancora il freno a mano tirato, freno che impedisce alle reali potenzialità di questa nuova forma di commercio di emergere in tutta la loro pienezza. Soltanto il 34% degli italiani utilizza la rete per fare shopping, a fronte di una media europea decisamente più elevata, con il picco del 90% nel Regno Unito.

I motivi sono noti: la scarsa propensione ai pagamenti elettronici ha le sue radici in condizioni di sicurezza delle transazioni non sempre soddisfacenti e in siti che sovente sono poco chiari e mal progettati.

Lo stato dell’e-commerce in Italia è stato l’oggetto del convegno Adiconsum svoltosi a Roma lo scorso 27 novembre, durante il quale è stata messa in luce soprattutto la frammentarietà delle situazioni all’interno dell’UE. Questo vuol dire sia regole differenti da Paese a Paese sia barriere commerciali che ostacolano gli acquisti anche all’interno della stessa Unione Europea.

La priorità a livello europeo è dunque quella di avere un “e-commerce uguale per tutti”, idea che ha ispirato il titolo della manifestazione. Regole chiare e condivise sono uno strumento fondamentale anche per la tutela dei prodotti nazionali e per evitare il fenomeno delle merci “italian sounding”, che di italiano hanno soltanto un nome scritto male.

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