Nell’avvicinarsi del primo incontro di tutto lo stato maggiore del Partito Democratico nel quale verranno scelte insieme le regole – e la data – del Congresso in cui verrà eletto il nuovo segretario e il candidato premier (potrebbero non essere la stessa persona, a quanto sembra), tutti gli occhi sono ancora una volta puntati su Matteo Renzi.
Il sindaco di Firenze non lascia indifferenti, polarizza le opinioni, sia all’interno del proprio partito che al di fuori, tra chi lo appoggia incondizionatamente e chi invece gli si oppone: piaccia o meno, il suo modo di comunicare schietto e fuori dagli schemi, almeno per la tradizione del centro-sinistra, lo rende una mosca bianca nell’attuale panorama politico.
A tale proposito è interessante ascoltare le voci di due dei “big” nel PD, Dario Franceschini e Rosy Bindi, i quali esprimono pareri a dir poco opposti sull’aspirante leader alla guida del Paese.
- Dario Franceschini – L’endorsement del ministro per i rapporti con il Parlamento arriva a sorpresa, dato che non aveva mai mostrato particolare simpatia per Renzi. Franceschini è tuttavia convinto che debba finire il tempo delle spaccature interne al partito, e dunque se il sindaco si rivelerà capace di unire tutto il PD, è la persona giusta da sostenere. Di certo la “leadership diffusa” è stata da sempre uno dei problemi principali della formazione politica, in cui, a parte le correnti, ci sono state spesso personalità in conflitto. E infatti le parole del ministro hanno già destato le ire dell’area bersaniana, che sostiene Cuperlo alla segreteria.
- Rosy Bindi – Che a Bindi Renzi non piaccia e non sia mai piaciuto, non è un mistero; “populista” è l’accusa che gli rivolge più di frequente, oltre a quella di essere troppo poco antiberlusconiano. Il sindaco dovrà fare a meno del voto della pasionaria del PD.